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Fosbury o Ventrale

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2024 11:47
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Scusa Enea se copio qui
L'articolo da te citato ma temo che se un giorno dovessero cancellare la pagina non si capirebbe piu' nulla del discorso.
ecco qui l'articolo del Corriere della Sera citato da Enea silvio

Il nome di Bruce Quande dovrebbe comparire nei libri di storia dell’atletica. Invece, appartiene alla schiera dei dimenticati. Oggi, pensionato sessantenne, Bruce vive ancora dove è nato, tra le vette del nord degli Stati Uniti d’America. L’altro ieri, liceale quindicenne, fece qualcosa di cui non restò traccia. Perlomeno, una piccola, labile traccia esiste, ed è la foto che qui riportiamo: piccola, sgranata, in rigoroso bianco e nero.

Fu pubblicata nelle pagine sportive del Missoulian, il quotidiano di una comunità del Montana, lo Stato americano che vanta il fiume più corto del mondo (Roe river, lunghezza metri 61). La fotografia ritrae lo studente Bruce Quande mentre cerca di superare l’asticella del salto in alto. L’asta pare sospesa nel nulla: invece è poggiata a improbabili ritti che terminano la loro corsa proprio lì, con la sbarra che più su non può andare. L’altezza potrebbe essere intorno al metro e 60, massimo 1,70: il giornale non specifica. Bruce Quande, il ragazzo, vince la prova (quello sì, è scritto sul giornale) e nel contesto un po’ agreste di quella giornata di gare scolastiche, fatto di «american way of life» e di cose minute e rassicuranti — lo sfondo severo del liceo, gli studenti seduti per terra, qualche professore a fare da giudice — immaginiamo la gioia di un quindicenne che batte i compagni e arriva primo.

Quella foto compie in questi giorni 45 anni: fu pubblicata il 24 maggio 1963, una domenica. Maggio, 24, 1963, ovvero cinque anni prima che un giovanottone dell’Oregon, Richard Douglas Fosbury, per gli amici Dick, diventasse un atleta famoso grazie a uno strano, apparentemente incongruo modo di saltare: a un certo punto della rincorsa, Dick faceva una giravolta e decollava, di schiena, verso l’asticella. Quel salto a gambero, sul quale si discusse molto a livello di regole, prima di considerarlo tecnicamente accettabile, non fu una bizzarra scorciatoia verso un’effimera notorietà. A Fosbury valse l’oro ai Giochi del ’68 (con 2,24) e un ingresso clamoroso nella storia dell'atletica: da quel momento il modo di saltare all’indietro, magari brutto da vedere ma tremendamente economico e «performante », cominciò a imporsi su quello classico «di pancia» (ventrale, nel gergo), che aveva caratterizzato vari decenni della specialità.

Al russo Valeri Brumel, il più grande specialista del ventrale (e il più sfortunato: un incidente in moto gli troncò la carriera), si sostituì il bizzarro Fosbury. Certo, i puristi del salto esultarono quando Vladimir Yashenko, un altro sovietico, correva l’anno 1978, riuscì con il colpo di pancia a battere il record mondiale (2,34): ma dopo di lui, il diluvio, nel senso che il ventrale si avviò tristemente verso lo scaffale dei gesti dimenticati, e tutti i saltatori si convertirono al Fosbury. Oggi, trascorse un paio di generazioni, il salto in alto è 100 per cento «Fosbury flop». E se ora, alla luce di questa benedetta foto in bianco e nero, cominciassimo a chiamarlo «Quande flop»? A rigor di logica, dare a Quande ciò che è di Quande potrebbe anche essere una corretta operazione di filologia atletica. Nessuno però garantisce che quel salto del 1963 non fosse un «unicum»: negli archivi di atletica, infatti, non si menziona mai Bruce Quande (lui stesso oggi conferma che la sua carriera di saltatore durò un paio di semestri scolastici).

Dunque, quel... Fosbury ante litteram non fece seguaci. Al contrario, la storia sportiva di Dick Fosbury è un continuo affinamento di quella singolare tecnica, cosa che fece del resto anche Debbie Brill, futura primatista canadese, che nel 1966, a 13 anni, cominciò pure lei con quella strana idea di voltare le spalle all'asticella... Alla fine, forse, è meglio che tutto resti com’è: ma se a Debbie va riconosciuto di aver piantato il seme con qualche germoglio e a Fosbury di aver coltivato la pianta rigogliosa che produsse i frutti, a Bruce concediamo almeno il merito di una primogenitura rimasta confinata, ahilui, nel campetto di una scuola.

Claudio Colombo

 
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