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Bell'articolo sul trio

Ultimo Aggiornamento: 09/04/2006 10:54
09/04/2006 10:54
 
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Aldo Giovanni e Giacomo sono attualmente uno dei pochi trii comici in attività (o cattività). Girano per i teatri, fanno cinema, continuano ad avere grande successo dopo l’intensa cura “Mai dire gol” che ha dato loro una grandissima popolarità.
Senza far ricorso a ospitate promozionali da una parte e dall’altra del piccolo schermo, i magnifici tre hanno conquistato uno straordinario consenso di pubblico.
Ma vediamo chi sono, uno per uno naturalmente in ordine di trio. In origine era un duo, quello composto da Aldo e Giovanni, detti anche i Suggestionabili .
Aldo si chiama in realtà Cataldo Ballio ed è nato a Palermo il 28 settembre del ’58. È venuto a Milano a tre anni coi genitori, ma quando ha cominciato a fare cabaret non voleva assolutamente parlare siciliano. Si vergognava. Dopo un paio d’anni di lavoro alla allora Sip, Aldo incontra il socio Giovanni Storti, nato a Milano il 20 febbraio 1957. Insieme hanno frequentato la scuola di mimo dell’Arsenale, in via Cesare Correnti, dove hanno avuto due maestri straordinari, il giapponese Kuniaki Ida e Marina Sreafico. Dall’81 Aldo e Giovanni hanno vissuto la loro regolarmente gavetta artistica, una bohème durata più di dieci anni, fino all’incontro decisivo con Paolo Rossi.
Qualche anno in meno di gavetta lo ha vissuto invece Giacomo Poretti, nato a Villa Cortese (provincia di Milano) il 26 aprile 1956 e convertito sulla via della carriera artistica solo a partire dall’84, anno in cui decide di lasciare la sua ben avviata carriera ospedaliera (era già caposala). Anche lui frequenta la scuola di teatro (teatro di posa però) per due anni e gira la provincia interpretando dapprima i testi classici. Poi incontra Marina Massironi e con lei fonda ilduo Hansel e Strudel . La svolta comica è ormai avvenuta, anche se il duo è destinato a sciogliersi. Nel ’91 finalmente Giacomo incontra i due Suggestionabili Aldo e Giovanni ed è subito trio.
La fusione tra le diverse esperienze professionali avviene sul terreno favorevole offerto da un caffè-teatro in provincia di Varese, dove ogni domenica si dava ai giovani artisti l’opportunità di esibirsi improvvisando. Lo spettacolo cambiava tutte le volte e l’unione fece la forza. Nascono così Aldo Giovanni e Giacomo, ai quali in seguito si unirà Marina Massironi, Giacomo confessa : “Ho imparato molto da Aldo e Giovanni, che avevano fatto la scuola di mimo e anche un po’ di teatro di strada. Io, dal punto di vista fisico, ero molto più legato perché ero un attore monologante e non un mimo. Nel muovermi non c’era paragone tra me e loro. Il vero mimo però è Giovanni”.
E torniamo alla splendida gavetta di questi tre avventurosi comici che, fin dall’inizio, hanno deciso hanno deciso di diventare artisti professionisti. “Nella gran varietà di locali di locali che toccavamo – raccontano – ce n’erano parecchi che non ci pagavano”. Ma i tre perseveravano ugualmente nello sforzo creativo per inventarsi personaggi e repertorio, collaborando alla invenzione che avveniva, e avviene, attraverso l’improvvisazione. “Ci mettiamo li a provare e le idee nascono sul palco. La scrittura viene dopo”. La scrittura è anche la fase in cui Aldo Giovanni e Giacomo incontrano altri autori. Anzitutto Gino e Michele, che vuol dire la premiata ditta Zelig e quindi anche Giancarlo Bozzo, che di Zelig (locale milanese che è diventato una vera scuola di comicità dalla quale sono usciti i migliori talenti dell’ultima generazione) è il direttore artistico.
C’è poi l’incontro con Paolo Rossi, grandissimo comico e capocomico, che firma anche come autore lo spettacolo teatrale I Corti , insieme a Carlo Turati e ai già citati Gino e Michele. Con “Paolino” avviene la svolta decisiva di una carriera che esce dalla clandestinità per approdare al contatto con il grande pubblico. Il 4 ottobre 1992 sulle onde della mitica RaiTre di Angelo Gugliemi debutta “Su la testa”, spettacolo teatral- televisivo che cambia radicalmente il modo di far comicità in TV. Sotto la furia monologante di Paolo Rossi si impone una scuola teatrale di grandissima professionalità, che stravolge il linguaggio del piccolo schermo facendo entrare nelle case degli italiani un’esperienza artistica più che decennale svolta attorno a pochi luoghi defilati della Milano non “da bere”. Da un tendone piazzato tra campi e casermoni della periferia più squallida della metropoli, tra cani randagi e luoghi di recupero dei tossicodipendenti, i nuovi amici fanno conoscere la faccia nascosta degli anni 80 e accusano con indignazione e poesia la frenesia degli affari sporchi e i nascenti problemi di intolleranza sociale e razziale. Qui Aldo, Giovanni e Giacomo (che di tutto il gruppo sono ancora i più corporei) e i meno parlanti, trovano il clima adatto per crescere non solo nella fama, ma anche nel repertorio. Accanto a Paolo Rossi, incontrano Lucia Vasini, Antonio Albanese, Cochi Ponzoni, Maurizio Milani, Bebo Storti, Gianni Palladino e Antonio Cornacchione, tutti artisti con i quali li troveremo in tutte le fasi successive della loro carriera non solo televisiva.
Nell’ultima puntata di “Su la testa” tutta dedicata al futuro, Aldo, Giovanni e Giacomo diventano vecchissimi e svampitissimi. Parlano della morte di tutti gli altri, compreso Paolo Rossi. La gag risulta talmente esilarante che i personaggi dei vecchietti emigrano verso un altro (per la verità meno riuscito) varietà televisivo, che andrà in onda sempre su RaiTre nella stagione successiva, si tratta di “Cielito Lindo”, che debutta il 3 ottobre del ’93, firmato tra gli altri dal grande disegnatore Sergio Staino e condotto da Claudio Bisio e Athina Cenci. Il programma ha l’intenzione di unire i nuovi linguaggi artistici ai temi della cronaca e del volontariato, il clima del varietà con quello del talk show e il ritmo della complicità con quello del dibattito. Forse troppe ambizioni, che tolgono freschezza allo spettacolo, ma non tolgono niente alla bravura di tanti artisti che sfornano nuovi personaggi e nuove realistiche macchiette rivelatrici del clima politico nuovo e anticipatrici di quello in gestazione.
E arriviamo alla stagione di “Mai dire gol” che inizia per Aldo Giovanni e Giacomo quando il varietà sportivo della Gialappa’s band (e cioè di Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci) deve affrontare uno dei suoi ricorrenti esodi artistici.
Il programma di satira non solo sportiva di Italia 1 ha costituito una fucina permanente di comici che sono poi andati ad arricchire altri programmi o altri generi. Teo Teocoli, Gene Gnocchi, Antonio Albanese hanno inventato a getto continuo personaggi o storie irresistibili, finché ragioni artistiche, contrattuali o anche semplicemente caratteriali non li hanno portati altrove impoverendo minacciosamente il cast. Ma per fortuna, anche nei momenti di crisi peggiore (come quello dell’improvviso abbandono di Teo Teocoli a metà della stagione ‘95-’96), i ragazzi della gialappa hanno trovato nel ricco humus teatrale milanese nuovi talenti comici in grado di recuperare ascolti e popolarità. Così Aldo, Giovanni e Giacomo non prendono il posto di Teocoli (che nessuno può sostituire) ma riescono a fare centro da cemento per le pazze invenzioni di un varietà televisivo capace di cambiare pelle, abbandonando per strada le sue origini sportive diventando sempre più racconto (e cioè fiction) e, in altri momenti, quasi musical.
Nella stagione ‘96-’97 il cast ha ospitatoanche Paolo Hendel e Daniele Luttazzi, che si sono aggiunti a Bebo Storti e Francesco Paolantoni, mentre la conduzione è rimasta affidata a Claudio Lippi e alla variabile dipendente delle donne che si sono alternate a Simona Ventura, passata nel frattempo alla conduzione dell’edizione calcistica domenicale. La tradizionale collocazione del lunedì è diventata perciò esclusivamente comica e ha visto crescere fortemente il ruolo di Aldo, Giovanni e Giacomo, moltiplicati nei loro interventi e sempre assistiti dalla brava Marina Massironi. Una presenza che ritroviamo anche nello spettacolo I corti.
In origine Aldo, Giovanni e Giacomo a “Mai dire gol” erano soprattutto “i bulgari”, tre scalcinati acrobati tutto fare, eredi di quel teatro girovago e circense che il nostro trio aveva sperimentato con Paolo Rossi. Poi sono diventati i tre tenori, ispirati alle iniziative benefiche e autopromozionali di Pavarotti, Domingo e Carreras. Ed è cominciata anche la meravigliosa saga degli arbitri e delle loro metamorfosi bestiali. Tutto succede nello spogliatoio di uno stadio assediato da tifosi imbufaliti. Arbitro e guardalinee sono costretti a barricarsi e, siccome non possono uscire, la loro vita da reclusi si arricchisce di “interiorità” attraverso il rapporto con gli animali che si introducono misteriosamente nello spazio chiuso.
Prima arriva un geco, piccolo innocuo rettile dalle scarse attitudini sentimentali, poi arriva uno struzzo femmina, vestito da ballerina di danza classica, capace di amare e di far innamorare soprattutto Aldo, che, si capisce, essendo meridionale, ha il carattere più passionale. La vicenda si arricchisce e si complica di sottili sfumature. Nascerà il frutto dell’amore e si sfiorerà addirittura la tragedia. Ma non sarà l’ultima avventura animale del trio. Nel loro zoo ci sono anche un cammello e un avvoltoio, interpretato occasionalmente anche da Claudio Lippi. Altre creature del mondo sovraffollato di Aldo, Giovanni e Giacomo nascono in trio e qualcuna in solitudine. Più solo di tutti appare il grandissimo Tefazzi, interpretato da Giacomo con muto stupore. In tuta nera da Diabolik, ma coperto da una mutanda corazzata bianca, il nostro eroe si percuote ferocemente le parti più sensibili con una bottiglia (per fortuna di plastica). Per questa sua attitudine autolesionista, viene preso a simbolo di un certo masochismo di sinistra italiana, sempre impegnata a farsi del male. Tafazzi è muto, ma parla al cuore di tanti militanti che sono stufi di autoflagellarsi. Diventa un mito, è richiesto alle Feste dell’Unità e dovunque si riuniscano le masse afflitte dalla temperia politica. Si sprecano le dotte letture del personaggio, che diventa una maschera epocale, adatta a spiegare tutti i misteri del nostro tempo. Con grande stupore di Aldo, Giovanni e soprattutto Giacomo. Altra invenzione del trio è quella del sardo Nico (Giovanni) e dei suoi parenti stretti (Aldo il fratello, Giacomo il nonno) che vivono con orgoglioso isolamento la loro solitudine e la loro militanza per la squadra del Cagliari. Il mondo di Nico si arricchisce tanto di storie e di personaggi, che alla fine Giovanni è costretto a farne un libro, tutto scritto nel difficile dialetto della Sardegna, ovviamente tutto inventato.
Ad Aldo tocca invece interpretare il mito del grande Ronsaldo, prima fan scatenato di chiunque e poi calciatore superpagato dell’Inter. Infine arriva per lui l’ora di Uber, eroico agente svizzero sempre impegnato a salvare la vita del cittadino Rezzonico, a costo di qualunque altra vita. Di solito ne va di mezzo Gervasoni, il più grande stilista svizzero. Le loro avventure costituiscono, nell’ultima stagione di Aldo, Giovanni e Giacomo a “Mai dire gol”, il filo fantastico di una comicità che diventa sempre più surreale conservando le sue origini corporee e mimiche. Una vera sfida per il piccolo schermo della tv, dove al massimo si può godere la mimica facciale. È dunque maturato per il trio il momento di un ritorno al teatro, che per la verità passa anche attraverso il cinema. Aldo, Giovanni e Giacomo hanno infatti girato un film da loro interpretato e diretto con l’aiuto di Massimo Venier (nessuna parentela con Mara). Titolo futuristico: Tre uomini e una gamba. Tutte queste esperienze (in particolare quella televisiva) contano per lo sviluppo dei personaggi elaborati dai tre.

I corti

Personaggi ai quali il testo teatrale da loro interpretato ne “I corti” contiene numerosissimi riferimenti diretti e indiretti. Gesti e caratteri che si possono stratificare saldano sempre di più i tre attori alle loro maschere. Due lombardi e un siciliano, due possibili paladini e un terrone, uniti però dal cordone ombelicale che li rende misteriosamente gemelli.
E, nel ruolo della mamma, riecco Marina Massironi, che pure con loro ha attraversato la stagione di “Mai dire gol” interpretando i mille personaggi femminili necessari a sostenere il fragile mondo maschile di Aldo, Giovanni e Giacomo. Presentatrice “bulgara” col nome di Natolia, o cantante rock con quello di Patti Canavacciuolo, Marina Massironi si rivela, in tv come in teatro, attrice duttile e comica quanto il trio, ma sempre in qualche modo a se stante. La separa infatti quella fondamentale “differenza” che la rende “madre” dei quei tre strani gemelli.
Nel primo de I corti troviamo infatti la Massironi incinta, all’inizio in un lettone agitato da gambe e braccia multiple, alla fine vagante con il suo pancione gonfio e ballonzolante. Semplici e accurati effetti teatrali ci fanno quasi assistere prima al concepimento e poi al parto. E durante la gravidanza, i tre comici feti immaginano e discutono il mondo di fuori. Si scoprono già li diversi e antagonisti. Più diverso di tutti naturalmente Aldo, che fin nel ventre materno impara a conoscere la parola “terun”. Dopo la nascita ritroviamo Aldo, Giovanni e Giacomo belli adulti, seduti a teatro dalla parte del pubblico, che assistono al loro stesso spettacolo. E continuano a litigare.
Poi li vedevamo impegnati in una scalata d’alta montagna tra picchi e animali immaginari. Giovanni in testa alla cordata, Aldo dietro, impaurito e spinto a forza, Giacomo che arriva tranquillo dal sentiero. E dopo di lui arriva in vetta anche la turista tedesca (ancora Marina Massironi) che getta scompiglio nel già scompigliato gruppo maschile, creando esilaranti tensioni erotiche e razziali. E di nuovo la scena ci porta in platea, coi tre che interpretano a loro modo il testo. Anche qui arriva Marina (stavolta nei panni di spettatrice intellettuale e rompiballe). Poi il clima cambia del tutto. Aldo, Giovanni e Giacomo appaiono in tenuta spaziale, tra strane apparecchiature, ma molto simile a come apparivano all’inizio per quei cordoni ombelicali che li legano uno all’altro e tutti e tre all’astronave. La voce fuori campo di Marina da loro le istruzioni di volo in linguaggio tecnico ma comprensibile, mentre i nostri astronauti urlano e strepitano in qualche sconosciuto dialetto spaziale (unico motto comprensibile un sofferto “va a cagare”). Sul pianeta (La terra?) finalmente raggiunto vivono le creature che in parte già conosciamo: il romantico struzzo (Aldo), l’avvoltoio (Giacomo), il cammello (Giovanni), e anche qualche altro animale con creste, ali o altre caratteristiche fisiche appena accennate sulle tute nere da mimi. Sono gli effetti specialissimi di una felice inventiva teatrale, sicuramente aiutata dal grande trasformista Arturo Brachetti, che ha collaborato dietro le quinte alle tante sorprendenti metamorfosi. E dopo un altro siparietto in platea, nel buoi di una notte terribile, vediamo aggirarsi il Conte Dracula (Aldo) in cerca di preda per saziare una fame disperata. Finisce in casa di Nico, che prima lo caccia spietatamente via, poi lo fa morire con le premure della famosa ospitalità sarda. Ma, in vista del gran finale, compare in scena la nostra Natolia che introduce i Bulgari con i loro efferati numeri magici, una “tragedia in due minuti” e infine, in un crescendo trionfale, “lo zero comico assoluto”, cioè il meraviglioso Tefazzi. E il pubblico delira.
Aldo,Giovanni e Giacomo Forum
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