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addio a Angelo Dundee

Ultimo Aggiornamento: 03/02/2012 04:44
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dal corriere delle sera
Quarant’anni all’angolo di un ring al fianco di quindici campioni mondiali, uno su tutti, Muhammad Ali. In due righe, questa è la storia di Angelo Dundee, l’allenatore di pugilato morto martedì a novant’anni nella sua casa nei sobborghi di Tampa, il buen retiro in Florida meta dei pensionati ricchi d’America.

Nato il 30 agosto 1921 a Filadelfia (la città «virtuale» di Rocky-Stallone), era un allenatore-maestro che conosceva l’arte del pugno, ma era soprattutto l’uomo che sapeva sussurrare le cose giuste al momento giusto: un colpo particolare, una tattica precisa, il modo di comportarsi fuori dal ring. Se non fosse riduttivo, si potrebbe dire che Angelo si comportava come il fratello maggiore di suoi pugili (e per qualcuno era anche un padre). Lo fu per fuoriclasse del ring come Sugar Ray Leonard e George Foreman, Carmen Basilio e Jose Napoles, lo fu soprattutto per Ali, con il quale formò il binomio più vincente della storia del pugilato.

Dundee conobbe il giovane Cassius Clay (allora si chiamava così) prima che questi vincesse l’oro olimpico all’Olimpiade di Roma. Intravedendone le fenomenali potenzialità, corteggiò il pugile per qualche mese (Cassius rifiutò sulle prime l’offerta di partnership), poi il sodalizio si formò per non spezzarsi più. La carriera mondiale di Ali cominciò il 25 febbraio 1964 contro Sonny Liston: Angelo era al suo angolo, presenza discreta ma ferma, omino piccolo con grande cervello in grado di prevedere le mosse dell’avversario.

Dundee fu uno dei pochi bianchi a difendere la scelta di Ali di convertirsi all’islamismo; lo aspettò fuori dal carcere dopo la condanna per aver rifiutato di combattere da soldato in Vietnam; lo appoggiò sempre e comunque, anche quando la verbosità del «labbro di Louisville» sconfinava nella provocazione o, peggio, nell’insulto nei confronti degli avversari. «Mi faceva fare ciò che amavo fare e fu sempre leale con me - scrisse Muhammad nella prefazione di un libro di memorie scritto da Dundee –. Per questo io amo Angelo». Dundee fu soprattutto il grande consigliere-stratega che spiegava a Muhammad (e agli altri) l’arte del ring, suggerendo in corso d’opera le variazioni tattiche da adottare nei momenti di difficoltà o quando bisognava imprimere al match una certa direzione.

Resta straordinario il match di Kinshasa (30 ottobre 1974), nel quale Ali si fece sbatacchiare da Foreman nelle prime riprese per sfinirlo, prima di stenderlo. Dietro quell’assurdo ma affascinante progetto di vittoria c’era la mano (e il pensiero) di Angelo Dundee. Il loro rapporto durò due decenni, poi Alì si ritirò ma per fortuna il genio di Dundee non si spense con la fine della carriera del «più grande». Anzi continuò verso altri traguardi prestigiosi, all’angolo di pugili che conquistarono, grazie a lui, titoli mondiali. Nel 1994, probabilmente la sua sfida più rischiosa: quella di rimettere sul quadrato, in condizioni accettabili, un George Foreman che aveva deciso di tornare sul ring a 45 anni. Missione compiuta. Foreman battè Michael Moorer e diventò il più anziano pugile a conquistare il titolo mondiale dei pesi massimi. Nessuno si aspettava la morte di Dundee, il quale, pur novantenne, godeva di buona salute, al punto da recarsi un paio di settimane fa a Louisville per la grande festa del settantesimo compleanno di Ali. Qualche giorno fa, però, era stato ricoverato in ospedale per una trombosi dalla quale sembrava si fosse ripreso. Invece, ieri, un attacco cardiaco ha spezzato la lunga, importante, soddisfacente esistenza del più grande «corner man» della boxe mondiale.

Claudio Colombo

 
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bravo commissario
doverso ricordo.
R.I.P. [SM=x875398]

 
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